Chi è Harris Reed?
Harris Reed è uno stilista britannico-americano e direttore creativo della casa di moda francese Nina Ricci. Reed è noto soprattutto per la creazione di design fluidi rispetto al genere che spesso giocano con temi di mascolinità e femminilità. Descrive la sua estetica come “Romanticismo diventato non binario” e si riferisce al suo lavoro come “demi-couture”, essendo fatto a mano ma composto da materiali accessibili. Le caratteristiche distintive del lavoro di design di Reed includono la fusione di forme tradizionalmente maschili con gonne o abiti scultorei, e il suo lavoro è spesso accessoriato con cappelli o copricapi stravaganti di grandi dimensioni.
La direzione creativa per Nina Ricci
La storia di Nina Ricci è sempre stata segnata da un andirivieni di designer che hanno reso difficile portare avanti un’identità riconoscibile. Elegante e al contempo accessibile, comoda ma anche favolosa, più che per silhouette o accessori divenuti iconici la sua moda si caratterizzava per il connubio perfetto tra allure romantica e spirito pratico, che non sempre gli stilisti che hanno guidato il marchio sono riusciti a cogliere e reinterpretare. Dal 2022 però, la maison – fondata a Parigi nel 1932 dalla designer di origine torinese Maria Adélaïde Nielli – preannuncia l’inizio di una nuova era, segnata dalla nomina come direttore creativo di Harris Reed, la cui visione genderless, sfarzosa ed eccentrica ha rivoluzionato il marchio riportandolo finalmente al centro della scena.
Il designer anglo-americano è in assoluto il più giovane direttore creativo al timone del marchio francese. Si è laureato alla Central Saint Martins di Londra nel 2020 e da allora la sua ascesa è stata quasi immediata. Il suo network nutrito di creativi modaioli e non è un terreno fertile per le collaborazioni, che hanno contribuito a metterlo sulla bocca di tutti negli ultimi due anni. Ancora studente, aveva già vestito Solange e firmato i costumi di scena per il tour mondiale di Harry Styles nel 2017-18; in seguito la sua collezione di laurea è stata acquistata subito da MyTheresa, poi sono arrivate una collaborazione con Dolce & Gabbana e una collaborazione con Etro. Fortissimo anche il legame con Gucci, presso cui il giovane designer aveva fatto uno stage per poi passare direttamente a calcare la passerella.
L'idea di moda di Harris Reed
La moda di Harris Reed è sfarzosa, gioca di eccesso e di continue revisioni storiche, pesca molto indietro nel passato, fino al Rinascimento e all’epoca vittoriana, quando l’abbigliamento maschile e quello femminile erano strettamente codificati, per rimetterlo in discussione in un’ottica fluida, contemporanea e libera da qualsiasi sovrastruttura. Scenografica ed eclettica, la sua “demi-couture” è un mix di atmosfere teatrali, dettagli rubati ai costumi d’epoca, richiami dandy alla Oscar Wilde e accenni androgini e glam-rock in stile David Bowie. Il suo approccio è fortemente evocativo: si nutre di suggestioni couture revisionate sotto la lente dello spirito genderless.
Il tratto distintivo di Harris Reed non sta nello stile, quanto nel messaggio di cui si fa portavoce: una moda non binaria, inclusiva, che esiste proprio per abbattere qualsiasi stereotipo di genere e raccontare una storia di bellezza non maschile o femminile, ma umana. Prendere le redini di un marchio come Nina Ricci però significa trovarsi necessariamente a fare i conti con il tema della “femminilità”, considerando che nel XX secolo la maison francese ne era l’emblema. Ma non fa strano, oggi, parlare di “femminilità”? Il significato di questo termine sfuma ogni giorno di più, si fa ambiguo, persino scomodo e limitante. Cosa è femminile e cosa non lo è? E a quale criterio ci si affida per decidere? Nina Ricci è un brand che storicamente trova la propria stessa definizione nel femminile, eppure oggi parlare di “maschile” e “femminile” ha un sapore anacronistico. Harris Reed rappresenta questa contemporaneità multiforme e libera che ci impegniamo a creare e forse, per un marchio così sedimentato nel passato, è la svolta necessaria. Si tratta di riuscire a demistificare il concetto di femminilità slegandolo da una narrativa riferita alla questione genere.
Il genderless
Nelle sue creazioni la tematica a-gender non si traduce in un’estetica minimal e asettica, tutto il contrario: le silhouette sinuose, i tessuti fragili, l’esagerazione di colori, volumi e forme si impongono come una rivendicazione del femminile per l’intero genere umano. Negli anni Trenta la designer torinese voleva magnificare e al tempo stesso “liberare” la donna disegnando abiti fiabeschi ma anche accessibili e comodi, abiti in cui “poter ballare”; Reed dal canto suo vuole magnificare e “liberare” l’essere umano, mantenendo lo stesso romanticismo, lo stesso approccio couture, ma rendendolo accessibile a chiunque al di là delle congetture sociali.